PAUL HAZARD

« Amo mischiarmi alla folla che si accalca sotto la Galleria dopo il pranzo. Questi strenui lavoratori, stanchi degli sforzi della giornata, hanno bisogno di uno svago. Escono e vanno verso la Galleria come se un appuntamento inderogabile ve li chiamasse tutte le sere. Un rumore di mare che sciaborda riempie subito
l’immenso salotto a vetri. Il flutto umano si frange, si formano le correnti e le controcorrenti. Ci si saluta, ci si accosta, si scambiano le novità. Non si viene per fare affari, ma se qualche affare si presenta sarebbe stupido non approfittare dell’occasione. Si comperano i giornali della sera e li si commenta. Ci si spinge fino ai portici che fiancheggiano il vasto insieme degli edifici; si da uno sguardo alle guglie del Duomo che si staglia nel cielo buio, all’ampia piazza, ai tram che giungono ansimando da tutte le località più lontane della periferia e ripartono lacerando l’aria con i loro richiami stridenti. Poi ci si gira e si riprende la stessa passeggiata, la Galleria senza tregua, la Galleria da un capo all’altro. A poco a poco la folla diminuisce, la gente dei crocchi si sparpaglia, la stanchezza fa sentire il suo peso anche sui chiacchieroni più ostinati. L’uscita dai teatri porta un’ultima ondata. I caffè si chiudono, si sente il rumore delle saracinesche che si abbassano; i rumori si affievoliscono, i rumori delle voci, i rumori dei passanti; gli ultimi nottambuli se ne vanno a malincuore. E’ finita: le lampade elettriche io quietamente la loro luce sulla Galleria deserta, che occupano solo,” guardiani vuoto, due maestosi carabinieri ».

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